16 novembre 2010
Meditazione: il sentiero della consapevolezza
La forma di buddismo radicatasi e fiorita nel Tibet dall'ottavo secolo a oggi ha forse sviluppato l'espressione artistica più raffinata degli aspetti oscuri della psiche umana. Molte statue e dipinti tibetani rappresentano grottesche figure demoniache, appartenenti di diritto al pantheon delle divinità locali; teniamo presente che non si tratta di divinità nel senso corrente del termine, bensì dalla rappresentazione di stati mentali diversi, ciascuno con una sua distinta energia divina che deve essere affrontata, onorata e utilizzata per far crescere e sviluppare il proprio potenziale di esseri umani realizzati, uomini e donne indifferentemente. Queste creature minacciose non sono considerate cattive, anche se il loro aspetto, le collane di teschi e le smorfie grottesche sono paurose e repellenti. La terribile apparenza esteriore è in effetti un travestimento adottato dalle divinità che impersonano saggezza e compassione per aiutarci a raggiungere comprensione e gentilezza verso noi stessi e gli altri, i quali, è sottinteso, non sono fondamentalmente diversi da noi.
Nel buddismo, lo strumento per compiere questo lavoro di sviluppo interiore è la meditazione. (...) un lavoro interiore di questo genere, inteso a prendere coscienza della propria psiche è di per sè un'iniziazione, un processo di tempratura che di solito implica una sorta di fervore. Occorre disciplina per tollerare il fervore, per perseverare. Ma il risultato sarà padronanza, perdita dell'ingenuità, raggiungimento di un ordine interiore che non si può ottenere senza disciplina, il fervore, la discesa nella parte più oscura di noi stessi e la paura. Persino le sconfitte spirituali che subiremo serviranno a temprarci.
Gli junghiani lo definiscono lavoro dell'animo, lo sviluppo della profondità di carattere grazie alla conoscenza dei tortuosi labirinti della nostra mente. Il fervore tempra, riordinando anche le minime componenti della nostra essenza psichica e con molta probabilità, anche i nostri corpi.
Il vantaggio del lavoro meditativo è la possibilità di applicarlo alla pratica stessa affinchè ci guidi attraverso il labirinto. Esso ci mantiene sulla retta via anche nei momenti più oscuri, ci rende capaci di affrontare i nostri stati mentali più tremendi e le più terribili circostanze esterne. Ci rammenta le nostre possibilità di scelta, è una guida allo sviluppo umano, una carta stradale per arrivare alla nostra essenza più radiosa, non al tesoro di un'innocenza infantile ormai trascorsa ma a quella di un adulto completamente realizzato.
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Mantenete viva la consapevolezza anche nei momenti più bui, ricordandovi che essa non fa parte dell'oscurità e della sofferenza; la consapevolezza placa il dolore e lo conosce, per questo deve essere fondamentale per voi e legata a quanto di più salubre, forte e prezioso è dentro di voi.
La metafora del viaggio è usata in tutte le culture per descrivere la vita e la ricerca del suo significato. In Oriente il termine Tao, "Via" o "percorso" in cinese, è inteso in questo senso. Nel buddismo la pratica meditativa è solitamente descritta come un cammino - il percorso della consapevolezza, della corretta comprensione, della ruota della verità (dharma). Tao e dharma significano anche lo stato delle cose, la legge che regola l'esistente e il non esistente. Ogni avvenimento, da noi superficialmente giudicato positivo o negativo, è essenzialmente in armonia col Tao. Spetta a noi imparare a discernere l'insita armonia, vivere e decidere in conformità. Ma spesso non è esattamente chiaro quale sia il percorso giusto, il che lascia ampio spazio al libero arbitrio e all'azione motivata, come pure a tensioni e controversie, per tacere del sentirsi completamente sperduti.
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Nel contempo è possibile saper bene dove ci si trova (anche se significa consapevolezza di essere sperduti, confusi, arrabbiati o disperati). D'altro canto accade sovente di nutrire la forte convinzione di sapere dove si va, in particolare se spinti da ambizioni egoistiche e da desideri smodati. Esiste una cecità dovuta a progetti personali che ci fa credere di sapere, mentre in realtà sappiamo meno di quanto pensiamo.
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La nostra modalità di pensiero differenzia la specie umana da tutte le altre senza possibilità di confronto. Ma se non prestiamo attenzione, il nostro pensiero può facilmente sopprimere altre preziose e miracolose sfaccettature della personalità. Spesso con immediato svantaggio della consapevolezza.
La consapevolezza non è uguale al pensiero.
E' una qualità che lo supera, sebbene ne faccia uso, rispettandone la validità e la forza. Può essere considerata come un recipiente che trattiene e incorpora il pensiero, aiutandoci a vedere e a conoscere i nostri pensieri come tali, impedendoci di considerarli una realtà.
A volte la mente pensante può trovarsi seriamente frammentata; di fatto, lo è quasi sempre. Questa è la natura del pensiero, mentre la consapevolezza, sollecitata intenzionalmente in ciascun momento, può aiutarci a percepire che malgrado questa frammentazione la nostra natura fondamentale è già integrata e completa. Non solo non è limitata dalla miscellanea della mente pensante, ma è il contenitore che raccoglie tutti i frammenti, come una pentola che contiene i vari ortaggi spezzettati consentendo che cuociano formando un tutto, il minestrone appunto. Ma si tratta di una pentola magica, perchè cuoce senza che si debba far nulla, nemmeno accendere il fuoco. E' la consapevolezza stessa che cuoce, a condizione di mantenerla attiva. Non si deve fare altro che rimescolare i frammenti rimanendone consapevoli. Qualsiasi cosa si presenti alla mente o al corpo viene versato nella pentola, diventando un ingrediente della minestra.
Un altro modo per definire la meditazione è considerare il processo stesso del pensiero come una cascata perenne. Coltivando la consapevolezza, ci collochiamo al di là o al di qua del nostro pensiero allo stesso modo in cui si cercherebbe riparo in una grotta o in una rientranza dietro una cascata. Continuiamo a vedere e udire l'acqua, ma ci troviamo discosti dalla corrente.
Con questo tipo di pratica i nostri schemi mentali cambiano automaticamente in modi che favoriscono integrazione, comprensione e compassione, ma non perchè tentiamo di cambiarli, sostituendo un pensiero a un altro che riteniamo più puro. Si tratta piuttosto di capire la natura dei nostri pensieri come tali e i nostri rapporti con essi, in modo da utilizzarli a nostro vantaggio e non viceversa.
Decidere di pensare positivamente può essere utile, ma non è meditazione. Sono soltanto altri pensieri. E' possibile lasciarsi catturate tanto dal cosiddetto pensiero positivo quando da quello negativo. Anche questo può essere circoscritto, frammentato, impreciso, illusorio, fine a se stesso ed erroneo. Occorre un elemento del tutto diverso per indurre una trasformazione nella nostra vita e portarci oltre i limiti del pensiero.
E' facile crearsi l'impressione che la meditazione consista nell'addentrarci o nel dimorare in noi stessi. Ma "interno" ed "esterno" sono distinzioni limitative. Nella tranquillità della pratica formale noi rivolgiamo effettivamente le nostre energie verso l'interno, scoprendo però che nella mente e nel corpo conteniamo il mondo intero.
Dimorando in noi stessi per periodi prolungati riusciamo a prendere coscienza dell'inanità di guardare sempre al di fuori di noi alla ricerca di felicità, comprensione e saggezza. Non che Dio, l'ambiente o gli altri non possano aiutarci a essere felici o a trovare soddisfazione. E' solo che felicità, soddisfazione e comprensione, anche di Dio, non potranno mai essere più profonde della nostra capacità di conoscere noi stessi interiormente, di affrontare il mondo esterno dal profondo appagamento che si prova sentendosi a proprio agio nella propria pelle e in intima familiarità con le modalità di mente e corpo.
Dimorare tranquillamente in noi stessi ogni giorno, anche solo per breve tempo, ci permette di prendere contatto con ciò che di più reale e affidabile alberga dentro di noi e che più frequentemente viene trascurato o non sufficientemente sviluppato. Quando riusciamo a rimanere concentrati su noi stessi, anche per brevi periodi di tempo, di fronte agli stimoli mondani esterni, senza sentire la necessità di rivolgerci altrove per qualcosa che ci completi o ci renda felici, possiamo sentirci come a casa nostra indipendentemente da dove ci troviamo, in pace con le cose così come sono, un momento dopo l'altro.
Da "Dovunque tu vada ci sei già" - Jon Kabat-Zinn
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