
E' assai più facile dire ciò che la meditazione non è anzichè ciò che essa è.
La meditazione non è rilassamento, ancorchè non possa aver luogo quando si sia tesi. Nel 1971, Benson e Wallace dimostrarono che la Meditazione Trascendentale di Maharishi produceva numerosi effetti fisiologici misurabili, stato di rilassamento mentale e fisico, rallentamento del ritmo respiratorio, diminuizione del consumo di ossigeno e via dicendo. All'iniziato della Meditazione Trascendentale viene insegnato un mantra elaborato con estrema cura, ma Benson in seguito ebbe a dichiarare che la parola "banane" sarebbe stata altrettanto efficace. Indubbiamente, Benson era nel giusto se ritiene che la meditazione sia soltanto "la risposta di rilassamento", e una persona che sia in questa condizione è assai più improbabile che soffra degli stati di ipertensione oggi così diffusi. Ma non è questa la meditazione.
Gran parte delle persone dedicano più cure alla propria automobile che non alla propria mente.
Per indicare l'azione consistente nel girare e rigirare su se stessi, il sanscrito usa la parola samsara, la quale designa il fatto che ripetiamo di continuo gli stessi errori fino a non renderci quasi più conto degli stati di frustrazione che ne sono la conseguenza. Vogliamo dimagrire, rinunciare al fumo, andarcene dalla città, e altre mille altre cose insieme; il nostro passato è una serie di ricordi poco gradevoli, liti familiari, trattative d'affari, occasioni mancate, e la nostra attenzione si proietta nel futuro. Il presente è un frenetico insieme di attività mondane, in cui è impossibile affrontare, in serenità, il nostro io interiore: una condizione che certi psichiatri definiscono di "fuga dalla realtà". Ed è un quadro in cui tutti più o meno ci riconosciamo mentre cerchiamo di sbarazzare la nostra mente dell'acqua torbida che la offusca, agitandoci sempre di più.
E' impossibile scorgere le profondità di un lago se la superficie dell'acqua non è calma, immobile.
Quando la superficie dell'acqua comincia a farsi trasparente, ecco che in colui che medita si ridestano molte capacità. Nel suo Meditazione come metaterapia: un'ipotesi per il raggiungimento di un quinto stato di coscienza, Daniel Goleman sostiene che:
- In colui che medita dovrebbe risultare minore la discrepanza tra l'io reale e l'io ideale.
- La meditazione migliora la capacità di apprendimento e facilita i compiti attinenti alla percezione.
- Wallace ha definito la meditazione "quarto stato di coscienza" (il primo è il sonno, il secondo il sogno, il terzo lo stato di veglia), e Goleman è dell'avviso che in colui che medita tutti questi livelli dovrebbero permeare di sè il livello della veglia, che così diviene appunto un quinto stato di coscienza maggiorata.
- Chi si trovi nel quinto stato funzionerà al livello dei metabisogni, anzichè a quello della patologia; della creatività, anzichè a quello della negatività.
La meditazione si inizia con il rilassamento, ma è possibile far sì che corpo e mente si sconnettano l'uno dall'altra, giungendo a una condizione che è chiamata "tono parasimpatico stabile". Il novizio si scoprirà tremante, forse incapace di muoversi, in uno stato che, in tempi andati, si sarebbe probabilmente definito di possessione. Esiste un rimedio: far passeggiare chi ne sia prede per la stanza, finchè non si sia ripreso. E' questo uno dei motivi per cui è consigliabile scegliersi una guida o maestro, anzichè dedicarsi da soli alla meditazione. Il novizio può anche vedere luci, sentire suoni, avere fenomeni telepatici: eventi che l'antica tradizione orientale definiva siddhis e che sono ritenuti trappole psichiche lungo la strada del pieno sviluppo. Si narra la storia di un monaco giapponese che un giorno, mentre era intento a meditare nella sua cella, vide i cieli aprirsi e il Buddha seduto in tutto il suo splendore sul trono celeste; corse subito dal superiore del convento, il quale ascoltò pazientemente quanto l'altro gli riferiva, e quindi replicò: "Non preoccuparti, concentrati sul tuo respiro e vedrai che la visione scomparirà".
La mente meditante è una mente silenziosa.
Seguiamo per un istante i tentativi di Krishnamurti di andare al di là delle parole. Dapprima c'è silenzio, un silenzio che trascende fede e dogma. La meditazione è possibile a patto che si instauri un silenzio in cui valutazioni e valori morali abbiano perduto significato: non è la via del pensiero, perchè la spinta alla meditazione può avvenire solo in una mente silenziosa. Non è una fuga dal mondo, bensì una condizione della mente e del cuore tale per cui cessa il bisogno di giudicare, e può avere luogo un'attività che non è frutto di tensione, contraddizione e aspirazione al potere. La mente non può mai approdare all'innocenza tramite l'esperienza; anzi, sono proprio le cicatrici lasciate dall'esperienza che impediscono il fiorire della meditazione. Passeggia lungo la riva del mare, e lascia che il silenzio ti compenetri, e quando questo avviene non inseguirlo, perché ciò che tu insegui non può essere che la memoria di ciò che è stato, la quale significa la morte di ciò che è. Per la mente che medita, la scissione cessa e lascia il posto a uno stato d'amore.
Meditazione è la mente che si libera dal conosciuto.
Osho definisce la meditazione uno sforzo di balzare nell'inconscio. Non si può saltare servendosi del calcolo, perchè ogni calcolo appartiene alla sfera conscia, e la mente conscia ti ammonirà: "Non farlo, impazzirai!". Il problema non può essere risolto affrontandolo razionalmente e dicendosi "non permetterò al pensiero di agire". E' questo il dilemma alle prese con il quale si trova chiunque cerchi: non si può meditare senza programmare la meditazione, e d'altro canto pensare a essa equivale a sbarrare la porta. Per permettere alla mente di aggirare l'ostacolo è dunque necessario un espediente, che può consistere nel concentrarsi sul respiro, oppure nel ricorso a un mantra o ancora nell'attenzione ai suoni interni come nel Surat Shabd Yoga. Nessuno di questi espedienti, tuttavia, può bastare da solo a garantire che la meditazione avrà luogo; per certuni, la grazia emanata da un maestro costituisce l'indispensabile premessa iniziatica.
La meditazione non è una tecnica.
Si narra l'episodio di uno che cercava e che nella sua cerca aveva frequentato le scuole più disparate. Giunge finalmente da un maestro il quale sta ad ascoltarlo per un pò, quindi prende una fiala contenente strati di sabbia di vario colore, e gli dice: "Scuotila". Colui che cerca obbedisce, e il risultato è che dentro la fiala comprare un colore grigio sporco. "Ecco", dice il maestro "questo è l'effetto prodotto su di te da tutti gli insegnamenti. Ognuno di essi in sè e per sè è puro, ma guarda che cosa è accaduto loro dentro di te".
"Devi tener presente che l'amore per la divinità viene prima dell'amore per la meditazione."
Sono parole di Swami P. Saraswati, e ora ascoltiamo le dichiarazione di alcuni dei suoi seguaci circa le esperienze da essi compiute in sua presenza durante una seduta di meditazione: "Ho sentito il cuore riempirsi di una dolcezza che non avevo mai provato prima", "Ho sentito un'energia spirituale che, provenendo dall'esterno, mi è entrata nel cuore", "Avevo gli occhi imperlati di lacrime, e poi ho provato una sensazione di grandissima felicità", "Quando Swami mi ha toccato la testa, ho perduto la sensazione del mio corpo e mi sono unito al canto", "Sono divenuto vuoto e consapevole - semplicemente consapevole di essere consapevole, e quindi consapevole soltanto di una luce bianca, pura e brillante".
Da "Enciclopedia della medicina alternativa" - Ann Hill