29 agosto 2010
Depressione come crescita spirituale
Quando parlo in pubblico della depressione, tutte le volte qualcuno degli ascoltatori chiede: "Che ne dice dei farmaci antidepressivi? Ritiene che non si debbano prendere?".
Penso che questa domanda sia basata su una credenza radicata: lo scopo delle persone dedite alla spiritualità è di privarsi di tutto ciò che abbiamo di buono, divertente, facile e godibile.
La mia risposta è più o meno questa: non c'è ragione per fare o non fare qualcosa. Qualsiasi cosa facciate e non facciate, prestate attenzione.
...Fate quel che vi sembra meglio in quel preciso momento; fate quel che vi sembra più gentile, amorevole, compassionevole, purchè gli prestiate molta attenzione. (...)
Significa che non si deve indugiare, che bisogna entrare con immediatezza nel presente e fare quello che il momento richiede. (...)
In altre parole, se siete depressi, andate dal medico, cercate un terapeuta, cominciate una pratica di consapevolezza, imparate a meditare. (...)
Un terapeuta dice così e così per voi può essere o non essere utile o vero. Siate aperti perchè vivete un'esperienza in cui non si deve lasciare niente d'intentato, ma non accogliete acriticamente ciò che vi sentite dire solo perchè proviene da una persona autorevole.
Un maestro spirituale dice questo o quello e tendete a concordare. Ma non serve essere o non essere d'accordo. Scopritelo da voi! Non presumete niente. Esaminate tutto quanto.
Il Buddha disse: "Siate gli artefici della vostra salvezza".
Ognuno di noi è responsabile di se stesso.(...)
Un'altra domanda che spesso mi viene rivolta è: "La meditazione può curare la depressione?".
La mia risposta è SI, CERTAMENTE, ma quasi nessuno segue questa strada. Perchè? Vogliamo soluzioni veloci. Vogliamo prendere una pillola e non affrontare mai le regioni che ci conducono alla depressione. (...)
Perchè pensiamo di poterci limitare a prendere una pillola e di curare la depressione continuando a trattarci come se fossimo indistruttibili, ignorare i segnali dell'eccesso di stress, assumere più impegni di quanti siamo in grado d'affrontare, rifiutare d'avere con noi stessi la sollecitudine e l'attenzione che rivolgiamo a chi amiamo? (...)
Anche se questo concetto di mettere fine alla sofferenza può sembrare molto attraente, per una parte di noi equivale alla morte. Lascia un buco nella nostra identità, uno spazio vuoto, che spesso ci appare insopportabilmente sgradevole.
Riconciliarsi con questo vuoto, rallegrarsi dei nuovi spazi che si aprono, richiede grande coraggio.
Siamo essere senzienti che cercano di negarsi, esseri viventi tesi contro la vita. Questa è la depressione. (...)
Tutto, nel nostro condizionamento, ci dice che il modo di liberarci di qualcosa è odiarla, odiarla a morte, resisterle fino alla morte.
Quando mostriamo a una persona che è proprio questa resistenza a tenere in vita il problema, la sua reazione è di non volerci più parlare.
Un'antica storia zen:
Il successore di Bodhidharma andò da lui piangendo: "La mia mente non è pacificata. Maestro, pacificala".
Bodhidharma risposte: "Se mi porti la mente, la pacificherò per te".
Il sucessore disse: "Quando la cerco, non riesco a trovarla".
Bodhidharma risposte: "Allora, la tua mente è già pacificata".
"Cerco disperatamente di liberarmi di qualcosa e non ci riesco nemmeno per un secondo; allora smetto di resisterle, la invito a entrare in me, e non la trovo più da nessuna parte. Ma quando mi sento in un momento veramente difficile, ho paura a non resistere."
"Quando stai annegando, devi rilassarti".
"Ma come faccio a rilassarmi se sto annegando? E' una follia! Quel che devo fare è lottare per la vita".
"No, lottare per la vita ti ucciderà".
Da "Il dono della depressione" - Cheri Huber
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