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6 dicembre 2010

Osho: l'inizio dell'illuminazione


La meditazione è un cammino verso l'eternità. Ed è un viaggio senza fine, eterno, nel senso che la porta si apre e continua ad aprirsi... fino a divenire l'universo. La meditazione sboccia e fiorisce, e continua a farlo fino ad abbracciare il cosmo intero nella sua fioritura. Il viaggio è eterno: inizia, ma non ha mai fine.
Non ci sono gradi di illuminazione. Una volta conseguitala essa è presente. È come tuffarsi in un oceano di sensibilità. Saltate, divenite tutt’uno con esso, come una goccia che cade nell'oceano e vi si confonde, ma ciò non significa che abbiate conosciuto tutto l'oceano. Il momento è assoluto: è il momento in cui l’ego viene abbandonato.
L'istante dell’eliminazione dell'Io, l’attimo della morte dell’ego. È assoluto e totale. Per quanto vi riguarda è perfetto. Ma per quanto riguarda l’oceano (per quel che concerne il divino) si tratta soltanto di un momento iniziale, l’inizio di un processo che non avrà mai fine. (...)

Conseguite cosi l'illuminazione, eppure non la raggiungete mai. Pervenite ad essa, vi ci immergere, divenite tutt'uno con essa, eppure l’ignoto è sempre là, nella sua immensità. È questa la sua bellezza e il suo mistero.
Se con l’illuminazione tutto divenisse noto, non ci sarebbe più alcun mistero. Se cosi fosse, l’intera faccenda diverrebbe sgradevole. Dissolto completamente ogni arcano, tutto sarebbe morto. L’illuminazione non è « conoscere » in questo senso. Non è conoscere come suicidio. È conoscere come apertura a sempre maggiori misteri. « Conoscere » significa quindi avere nozione del mistero, esserne consapevoli. Non significa averlo risolto una volta per tutte: l’illuminazione non è il possesso di una formula matematica per cui tutto ora vi è noto. Il conoscere dell’illuminato significa piuttosto essere giunti al punto dove il mistero è divenuto definitivo. (...)
L’arcano è tale da essere insolubile; il mistero è tanto fitto che è assurdo finanche sforzarsi di svelarlo. Cercare di far luce in esso con i mezzi dell’intelletto non ha senso. Siete arrivati al limite delle vostre possibilità razionali. L’intelletto ora cede le armi e si comincia a conoscere. (...)
Il conoscere va concepito in questo senso: è partecipare all’esclusivo mistero dell'esistenza, dire si all’arcano della vita. L’intelletto non ha ora alcuno spazio per le sue teorizzazioni. Siete faccia a faccia con il mistero, e l'incontro è esistenziale... non per il tramite della mente, ma tramite voi stessi, tramite la totalità di voi stessi. (...)

Questo è l’inizio dell’illuminazione. Non vi sarà mai fine, ma questo è l’inizio. Capite che l'ignoranza è finita, ma non ci sarà un termine a questo stato illuminato della mente. Siete saltati ormai in un abisso senza fondo. (...)
Potete dire: "È come un fiore che si schiude"... ma non c'è affatto alcun fiore. La vostra sensazione è però esattamente quella di essere un fiore che sta cominciando a sbocciare. La sensazione è né più né meno quella dell’aprirsi. Ma qualcun altro potrebbe esprimersi altrimenti. Potrebbe ad esempio dire: «È come lo spalancarsi di una porta... di una porta che dà sull'infinito e che non cessa mai di aprirsi». E chi più ne ha più ne metta. (...)

Domanda: Come ci si sente dopo che il sahasrara comincia a schiudersi?

Osho: Quando il sahasrara comincia a schiudersi non si dovrebbe provare che una sensazione di silenzio e di vuoto interiore. La sensazione sarà acuta all'inizio - quando la proverete per la prima volta sarà molto intensa - ma più vi familiarizzerete con essa e più essa si attutirà. Più essa diverrà vostra e voi tutt’uno con essa, e minore sarà la sua intensità. Verrà il momento - è inevitabile - in cui non l’avvertirete più per nulla.
Il fenomeno della sensazione è sempre connesso alla novità del percepito. Avvertite soltanto quello che vi riesce insolito, non percepirete il consueto. Soltanto il nuovo è avvertito. Quando siete ormai tutt’uno con la nuova situazione, quando vi ci siete familiarizzati, non l'avvertirete più, ma ciò non significa certo che tutto sia finito. Tutto continuerà, perfino più di prima, andrà via via intensificandosi, ma voi l'avvertirete sempre meno, finché verrà il momento in cui ogni traccia di sensazione sarà scomparsa. Ogni senso di « alterità » si è dileguato e con esso la percezione.
Quando il sahasrara giunge per la prima volta alla fioritura, il fenomeno vi è alieno. Vi è ignoto e voi ne siete ignari. È qualcosa che penetra in voi, o siete voi a penetrare in esso. Fra voi ed esso esiste una distanza. È però un intervallo che andrà pian piano annullandosi, finché vi immedesimerete con il fenomeno: non lo vedrete più come qualcosa che vi sta succedendo, perché voi sarete ora divenuti l'evento. Continuerà a espandersi e diverrete tutt’uno con esso.
Allora non ci baderete più.
Certo lo avvertirete, ma non gli presterete più attenzione di quanta non ne dedichiate alla vostra attività respiratoria. Percepite la vostra respirazione soltanto quando vi è accaduto qualcosa di nuovo (o di male), non altrimenti. Non percepite neppure il vostro corpo a meno che non vi si sia insinuato qualche malanno, a meno che non siate ammalati. Se siete in perfetta salute, non lo sentite affatto: lo avete e basta. In realtà il vostro corpo è più vivo quando siete sani, ma non lo notate. Non ne avete alcun bisogno: siete tutt’uno con esso.

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